Un pallone, costo 500 lire, più o
meno l’equivalente di 25 centesimi espressi col nuovo corso, era tutto quello
che ci occorreva. Se poi a questo si aggiungeva la maglia della squadra del
cuore, allora era il massimo. Per il resto, lo scenario, che all’epoca davamo
per scontato, per immutabile, era la gratuità elargita dalla bontà divina, la quale ci
regalava un campetto, poco più di una radura in mezzo agli olivi. E tutti a
correre dietro al pallone, sbucciandoci quotidianamente le ginocchia, ferite
che di notte si rimarginavano per riaprirsi, puntualmente, all’indomani.
Durante la bella stagione, a
piagare le gambe concorrevano le ortiche, che affrontavamo con l’audacia di
bambinetti impavidi e temerari, contenti di gironzolare tra timide lucertole da
poco uscite dal letargo. Almeno così ci spiegava la maestra. Capitava,
talvolta, di vedere dei serpenti, e allora discussioni a non finire, senza
approdare a nulla, per stabilire se si trattasse di vipere o altro. L’alta
disputa, come ovvio, sarebbe stata portata, per la sua composizione, il giorno
dopo, all'attenzione della nostra insegnante.
I campi, sconfinati, che
sembravano estendersi dal mare al monte, tra dirupi, avvallamenti, rivoli d’acqua,
canneti colonizzati dalla volpe, che comunque si sottraeva sempre al nostro
sguardo, ci offrivano, col caldo, di che mangiare. Fasci di gramba lupina (erba
sulla) e radici di riquilizia (liquirizia), individuati con occhio esperto, ci
rendevano satolli fino all’inverosimile. Il tutto colto e mangiato lì per lì,
senza lavare. Per la liquirizia, che un attimo prima giaceva un bel palmo sottoterra,
era sufficiente passarvi la mano per eliminare l’accumulo di humus. Un po’ più
complicato era trovare le giorge, che non ricordo come si chiamino in italiano,
frutti offerti con generosità da alberi imponenti, dei quali conoscevamo l’esatta
ubicazione.
In primavera inoltrata,
arrivavano le lucciole. La sera tardi, col buio, inseguiti dai richiami delle
nostre madri, tra le siepi, le catturavamo tenendole per un po’ tra le mani
unite: le osservavamo emettere una luce misteriosa della quale, d’altra parte, non ci interessava l’origine (forse per questo la maestra non ce ne aveva mai
parlato), ma che, ed è l’importante, ci affascinava. Poi le lasciavamo volare
via.
Ora le lucciole non ci sono più,
come è già stato scritto autorevolmente. Nessuno però ha ancora scritto che anche quella radura in mezzo agli olivi non c’è più.
Giacinto Zappacosta
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