Fu, e per noi, pochi, che vivemmo quel periodo, è tuttora
un patriota.
Jan Palach si diede fuoco, il 16 gennaio
1969, in piazza San Venceslao a Praga. Morì ventenne dopo tre giorni di
agonia.
Il sacrificio del giovane studente di
filosofia segna il punto più alto della resistenza cecoslovacca contro
l'invasione delle truppe del patto di Varsavia (leggasi: Unione Sovietica).
Mutata la geografia, variata la
toponomastica, rimane il gesto estremo di un ragazzo che nulla poteva opporre
se non la propria auto-dissoluzione, baluardo tenue, all'apparenza, contro i
carri armati. Eppure, talora la morte assume contorni particolari, imprevisti,
che danno significato a ciò che altrimenti è il nulla. La sequela di ragazzi che
si tolsero la vita segnò, se non altro, al cospetto del mondo, il confine netto tra ideale e reale,
tra giustizia e ingiustizia, tra valore e disvalore. Soprattutto, tra libertà, che è il bene assoluto, il presupposto, e la sua negazione.
Non sapremo mai da dove l'uomo tragga la forza, il coraggio, l'intima energia per portare ad estreme conseguenze l'imperativo morale che avverte in sé, ma possiamo senz'altro constatare come la figura del martire costelli da sempre la storia dell'umanità. Nella consapevolezza che gli eroi saranno sempre necessari.
Giacinto Zappacosta
riproduzione vietata
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