lunedì 9 gennaio 2017

"Perch'e' fuor greci"

Virgilio ("lo duca mio") è drastico: lascia parlare me perché costoro furono greci. Il verbo essere, pur se coniugato al passato remoto, ha una valenza di attualità concreta, che si riflette nel caldo consiglio, rivolto a Dante, di far luogo a più valido interlocutore che possa tenere testa ad una progenie di rango superiore. "Fuor greci". 
Ecco Ulisse, in greco Odisseo, "l'uom di multiforme ingegno", il re di Itaca, e il suo inseparabile sodale Diomede, secondo la tradizione sepolto nelle Isole Tremiti, per la precisione sulla punta estrema dell'isola di San Nicola che guarda verso il mare aperto, ove le diomedee, uccelli che vivono soltanto in quell'arcipelago, piangono ancora, col loro grido caratteristico, la morte in esilio dell'eroe omerico.
I Greci, dunque, gli Elleni. Che chiamavano se stessi "oi èllenes", mentre gli altri, tutti gli altri senza distinzione alcuna, erano "oi bàrbaroi", i barbari, quelli incapaci di parlare, salvo farfugliare gretti concetti infarciti di suoni tipo "bar-bar".
Superiorità razziale? Rivendicazione di un primato etnico? Può darsi, e nella forma mentis di un greco, di un elleno dell'età classica c'è anche questo. "Ringrazio dio di essere nato greco e non barbaro, libero e non schiavo, uomo e non donna"  è l'empito platoniano a significare l'intima consapevolezza di un popolo, spesso in guerra al suo interno, ma che avvertiva sé come una entità, diversa e distinta dall'universo mondo, in ogni caso posta al di sopra di qualsiasi altra civiltà. I barbari per antonomasia, quelli nomati, talora, semplicemente "oi bàrbaroi", e anche questo ha una sua valenza, erano i Persiani, respinti e sconfitti a difesa di una impronta europea che andava piano piano delineandosi. 
Chiediamoci ancora: si trattava di una chiusura mentale, così diversa dall'atteggiamento dei Romani, naturalmente portati a fondersi con popolazioni vicine (Sabini), ad inglobare usi e costumi (il concetto di imperium preso di pari passo dagli Etruschi). Il tarantino Icco prende la nave e va a vincere le Olimpiadi nella madre terra greca, solenni gare alle quali partecipavano solo gli Elleni, mentre Aristotele, per evidenti motivi che potremmo definire nazionalistici, nega che Taranto, a differenza della Calabria, sia in Italia. Come a dire: noi siamo Elleni, punto e basta.
E poi la società delineata nei versi omerici. C'è l'Anax (dal sanscrito ariel che sta ad indicare il signore), l'eroe, il guerriero, magari imparentato, è il caso di Achille, con una qualche divinità, il capo della sua gente, sempre rappresentato come bello, coraggioso e valoroso. Nell'Iliade c'è spazio solo per loro, con la sola eccezione di Tersite, rappresentato, quasi per contrappasso, brutto e deforme, ridicolizzato e zittito nell'ignominia dall'astuto Ulisse.
Questo atteggiamento, questa caratteristica culturale, questo connotato antropologico, che possono pure impressionare noi uomini e donne del XXI secolo, trovano forse il loro momento apicale in Sparta, polis dominata da un manipolo di guerrieri che nega diritti, talora anche quello alla vita, ad una gran folla di sottomessi. 
Eppure, la civiltà ellenica nel suo complesso ha dato all'umanità Eschilo, Sofocle, Euripide, Socrate, Platone, Aristotile, Archiloco, Parmenide e Zenone. All'elenco, ampiamente incompleto, va aggiunto il grande tarantino Archita.
Se i Greci, gli Elleni, non avessero difeso la loro peculiare differenza in faccia al mondo, non avessero vissuto la propria identità etnico-culturale come una cittadella da custodire e da tutelare, quell'enorme patrimonio, diciamolo pure, nettamente superiore, sarebbe giunto a noi annacquato, impoverito, improduttivo. Sarebbe stato altro rispetto a quello che conosciamo, noi saremmo altro rispetto a quello che siamo. E saremmo peggiori, è sicuro
In quella specie di staffetta che è la storia umana, i Greci passarono la mano ai Romani, i quali produssero un'altra grande, stupenda civiltà. L'incontro tra i due popoli ebbe luogo attraverso Taranto. In particolare, il merito va ascritto a Livio Andronico. Mi raccomando: si pronuncia "Andronìco".

Giacinto Zappacosta

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