lunedì 30 gennaio 2017

PLATONE, LA BELLEZZA DELL'INESISTENTE


Finezze linguistiche, profondità di contenuti, slanci ideali, forza polemica nei confronti del malcostume del tempo. Platone era un grande, anzi è un grandissimo. Rileggerlo, per me, è un piacere, un gradevole obbligo. C'è ancora spazio, nella nostra società, così grezza, così imbarbarita, per il filosofo ateniese? Più in generale, c'è spazio per la cultura? Pasolini, dal quale mi dividono molte cose, aveva visto giusto quando definiva noi, gli Italiani, un popolo di polli d'allevamento. Da allora, la situazione sta precipitando, vorrei aggiungere anche a livello antropologico, diciamo pure razziale, o etnico. Quelle pagine in greco, difficili da leggere e da tradurre, appartengono ad un altro mondo, un mondo troppo bello per essere, sia pure lontanamente, paragonato con quello attuale, nel quale più che vivere, bivacchiamo. Studiare e interiorizzare Platone significa innamorarsi dell'utopia, della bellezza ideale, di fantasmi, di cose inesistenti eppure presenti all'animo. Per inciso: presenti a chi ha per davvero un animo degno di questo nome. Qui viene in taglio la prospettiva, che è tutta platoniana, più tardi, con sfumature diverse, hegeliana, del non-essere (Teeteto) come momento dell'essere. Per semplificare (o complicare): nel Teeteto il filosofo ateniese sostiene l'equivalenza tra essere e non-essere. Con questa impostazione, preferisco il non-essere.   

Giacinto Zappacosta


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