Siamo alle solite, alla consueta, e drammatica, per certi aspetti ridicola, pantomima. Con un interessante cambio di prospettiva. Per gradi. Tutti, ma proprio tutti, fino all’ultimo ignorante semi-analfabeta che scrive (oggi si dice “posta”) su facebook rivendicano all’islam un sostrato di amore, di bontà. Ora, come ignorato dai più, la religione predicata da Maometto, storicamente, da sempre, si è affermata, più che con una inesistente predicazione, a mezzo della scimitarra. I fatti che precedettero la battaglia di Lepanto ne sono un preclaro esempio, così come la barbarie consumatasi a Otranto, e ad essi rimando chi ne voglia sapere di più. Chiudere gli occhi avvinazzati di fronte a quello che ci insegna la storia è un segno dei nostri tempi. Brutti tempi, nei quali la contrapposizione, fatua, del tutto emotiva, per non dire puerile, tra un islam moderato e un islam radicale è l’epifenomeno preoccupante di una mancata percezione, peggio ancora, forse, di una volontà di non intendere quello che è apodittico, palese, fattuale. Come ben sanno le vedove dei ventuno cristiani copti sgozzati in riva al Mediterraneo. Parlavo di una mutata prospettiva, un inatteso e nuovo cambio scenico che annulla l’altra dicotomia, quella tra due culture, l’una occidentale e umanistica (cristiana non lo è più da tempo) e l’altra musulmana. Lo scontro di civiltà, ipotizzato da pochi e negato da molti, è assorbito dalle simpatie militanti di noi europei, uomini e donne affascinati dal richiamo delle bandiere nere che svettano spettralmente. Se uno scozzese al kilt preferisce il tetro vestimento islamico, in effetti più consono al lavoro di taglia-teste, vuol dire che il problema è endogeno.
Giacinto Zappacosta
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