Nel panorama politico siciliano, i
Borbone furono gli unici ad impegnarsi realmente nel combattere i residui di
feudalità che ancora funestavano il popolo. Lo strapotere di principi e baroni
era tale che il processo si svolse troppo lentamente, ma ciò bastò ai regnanti
per essere malvisti e combattuti dalla casta baronale isolana.
Da Carlo di Borbone a Ferdinando IV, fu
un susseguirsi di leggi atte a limitare il potere feudale e persino di togliere
loro le terre, come la la Prammatica XXIV del 1792, ma sempre con scarsi
risultati.
Tra i vari decreti contro la feudalità
(la cui abolizione era stata confermata nel 1816, con la fondazione del Regno
delle Due Sicilie) si ricordano, appunto, quelli del 11 dicembre 1816 e 19
dicembre 1838.
Ecco il decreto del
1838:
Decreto relativo al
compimento dell'abolizione della feudalità, ed allo scioglimento de' dIritti
promiscui in Sicilia.
Palermo, 19 Dicembre
1838.
FERDlNANDO II. Per
Grazia Di Dio RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE, DI GERUSALEMME OC. DUCA DI PARMA,
PIACENZA, CASTRO CC. CC. GRAN PRINCIPE EREDITARIO DI TOSCANA ECC. ECC. ECC.
Vedali i reclami che
durante il nostro giro per le provincia della Sicilia ci sonò stati presentati
dalle popolazioni, le quali hanno implorato la esecuzione delle leggi abolitive
della feudalità , la pronta decisione delle annose cause pendenti fra' comuni e
gli antichi loro feudatarii, lo scioglimento delle promiscuità , e la
ripartizione delle terre per poterle chiudere e migliorare;
Considerando che
l'agricoltura non può prosperare senza la proprietà assoluta di ogni fondo che
dia il diritto di vietarne altrui l'ingresso.; che le terre non acquistino
valore dove non esistano molti agiati coltivatori che l'amore della proprietà
affezioni al suolo ; che le vaste contrade, nude, deserte, o mal coltivate
che s'incontrano in Sicilia, nonostante la loro feracità naturale, ed il
favore del clima , non potranno esser migliorale finché durerà la esistenza di
più padroni sullo stesso fondo ;
Volendo accelerare la
esecuzione delle leggi che da epoche remole hanno proscritta la indicata
condizione delle proprietà, perniciosa egualmente alla pubblica prosperita , al
ben essere delle popolazioni , ed agli stessi grandi proprietarii ;
Veduti i rapporti del
nostro Luogotenente generale e degl'Intendenti, i voti de'Consigli provinciali,
ed i pareri della Commissione nominata a quest' oggetto da Noi a' 17 del
prossimo passato novembre, e riunita a Palermo;
Veduto l'articolo 9
della legge degli 11 di dicembre 1816, col quale fu conservata l' abolizione
della feudalità in Sicilia, ugualmente che negli altri nostri domini
continentali ;
Vedute le disposizioni
della legge fondamentale dell'amministrazione civile del 12 dello stesso mese
ed anno;
Abbiamo risoluto di
decretare , e decretiamo quanto segue.
Art. 1. Gli Intendenti
delle provincie della Sicilia verificheranno rigorosamenie , comune per comune
, se vi esistano, e si esercitino ancora da qualsivoglia ex-feudatario, o corpo
morale, o avente causa da essi , alcuno de' dritti feudali aboliti, e ne
faranno distinto rapportò al nostro Ministro Segretario di Stato degli affari
interni, il quale prenderà i nostri ordini proponendoci le misure da adottare.
2. Non credendo
espediente che un tribunale di eccezione decida delle liti fra' comuni ed i
loro antichi feudatarii, successori, o aventi causa, continueranno queste ad esser
giudicate da' tribunali ordinarii ; ma i nostri procuratori generali e
procuratori regii assumeranno da ora innanzi la difesa de' comuni , come parte
principale, senza escludere però l'assistenza di qualunque interessato. Essi
provocheranno quindi di uffìzio la spedizione de'giudizii; e per l'organo del
nostro Ministro Segretario di Stato di grazia e giustizia informeranno il
nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni, mese per mese, dello
stato delle cause che difendono, del loro valore, e del successo.
3. Gli Intendenti
delle stesse provincie procederanno allo scioglimento delle promiscuità ed alla
divisione de' demanii comunali colle facoltà accordate loro nell'articolo 177
della legge del 12 di dicembre 1816, ed a norma del real decreto del primo di
settembre 1819. Ne'casi di dubbio gl'Intendenti chiederanno l'avviso del nostro
procurator generale presso la gran Corte de' conti di Palermo , il quale è
incaricato di dar loro tutte le occorrenti dilucidazioni , e di corrispondere
per questo ramo di affari col nostro Ministro Segretario di Stalo degli affari
interni, cui sarà tenuto dar conto di ogni dubbio proposto e risoluto.
4. Lo stesso
procurator generale sulle basi delle istruzioni approvate col decreto de' 10 di
marzo 1810 formerà il progetto di quelle che dovranno servir di norma agli
Intendenti per lo scioglimento delle promiscuità, per la divisione delle terre
demaniali appartenenti ad ex-feudatarii, o a corpi morali di qualsivoglia
titolo o denominazione, sulle quali i cittadini hanno esercitato gli usi
civici, e per la suddivisione in quote fra i più poveri della parte che in
compenso di tali usi ne sarà spettata a' comuni. Il progetto del procurator
generale sarà proposto dal Ministro Segretario di Stato degli affari interni alla
nostra sovrana approvazione fra il termine improrogabile di mesi due, inteso il
Luogotenente generale.
5. Tutte le
promiscuità non ancora sciolte, è quelle il di cui scioglimento non si trovi
definitivamente approvato, lo saranno colle norme indicate ne' due articoli
precedenti nel più breve tempo possibile, sotto la immediata responsabilità
degl'Intendenti, i quali nella fine di ogni mese daranno conto al nostro
Ministro Segretario di Stato degli affari interni del progresso e de'
risultamenti di tutte le indicate operazioni.
Quanto alle
promiscuità, il di cui scioglimento trovasi già pronunziato ed approvalo, e per
le quali sia stato accordato a' comuni un canone annuale in vece di terreni,
vogliamo che ogn' Intendente esamini in Consiglio d'Intendenza colla massima
diligenza e posatezza se sieno stati lesi i dritti imprescrittibili delle
popolazioni che erano in possesso dell'esercizio degli usi per lo sostegno e
pe' comodi della vita, se sia stato tradito lo spirito della legge che avea in
mira di formar nuovi proprietarii, di favorire l'agricoltura, e dare un
effettivo compenso degli usi civici in una quota delle stesse terre da
distribuirsi a' più poveri. Del risultamento di ogni esame sarà diretto al
nostro Ministro Segretario di Stato degli affari interni ed al nostro
Luogotenente generale un pieno e distinto rapporto, che ci sarà da essi
rassegnato per le opportune risoluzioni. Questi rapporti verranno sottoscritti
dall' Intendente e da tutti i consiglieri d'Intendenza.
6. Tutte le
disposizioni contrarie a quelle del presente decreto sono abrogate.
7. I nostri Ministri
Segretarii di Stato di grazia e giustizia e degli affari interni, ed il nostro
Luogotetenente generale in Sicilia sono incaricati della esecuzione del
presente decreto, ciascuno per la parte che lo riguarda.
Firmato, FERDINANDO.
Consigliere Ministro
di Stato
Presidente interino
del Cons. de' Ministri
Firmato, Marchese
Ruffo.
Nella Legge Costituzionale del 1812 emanata dal Parlamento Siciliano fu
scritto esplicitamente che la feudalità era abolita, ma leggendo bene gli
articoli, si capisce che i feudi erano stati in realtà semplicemente
trasformati in proprietà private, a disposizione dei baroni:
Ecco un estratto:
"XI. Che non vi
saranno più feudi, e tutte le terre si possederanno in Sicilia come in allodii(1), conservando però nelle rispettive famiglie l’ordine di successione, che
attualmente si gode. Cesseranno ancora le giurisdizioni baronali; e quindi i
baroni saranno esenti da tutti i pesi, a cui finora sono stati soggetti per
tali diritti feudali. Si aboliranno le investiture, relevi, devoluzioni al
fisco, ed ogni altro peso inerente ai feudi, conservando però ogni famiglia i
titoli e le onorificenze.
6 Cessando la natura e
forma de’ feudi, tutte le proprietà, diritti e pertinenze per lo innanzi
feudali, rimaner debbono, giusta le rispettive concessioni, in proprietà
allodiale presso ciascun possessore. Placet."
Infatti, a differenza di Murat che nel
1806 aveva abolito la feudalità motu proprio, in Sicilia la legge abolitiva fu
emanata dal parlamento Siciliano e dunque dai baroni.
I danni creati da una legge scritta da "controllori che erano gli stessi
controllati" non tardarono ad evidenziarsi: i
contadini che fino ad allora avevano usufruito degli usi civici delle terre
feudali adesso non potevano più farlo, mentre i baroni forti di tale
acquisizione si sentivano sempre più potenti.
Quella Costituzione che fu fatta passare
per "opera di modernizzazione", altro non era che un furto alle popolazioni contadine, che in quegli anni
raggiunsero il livello più basso e vergognoso della povertà.
Ecco infatti cosa si scrisse a proposito
della legge del 1812:
"coloro che
l'avevano sancita furono i primi a frustrarne l'applicazione" ed ancora...."Nulla di strano che dalle
ulteriori dicharazioni del Parlamento spuntassero fuori restrizioni, che
attenuavano i danni che la predetta abolizione avrebbe portato agli ex baroni" (Società siciliana di storia patria, 1933)
Ma d'altronde, cosa dovevano
ammodernizzare questi baroni visto che "per due secoli neanche un singolo ponte fu costruito o riparato in
questo paese di monti, valli e correnti torrentizi, e il denaro raccolto
svaniva in conti incomprensibili o addirittura inesistenti" (Storia della Sicilia medievale e
moderna, 1983) tant'è che nel 1820 non esisteva ancora
una strada che collegasse Trapani con Palermo (Comunicazioni e trasmissioni: la lunga storia della comunicazione
umana , 2002)
Tra i compiti della Deputazione del
Regno di Sicilia vi era infatti la gestione e l’amministrazione delle strade,
dei ponti, e del sistema delle Torri costiere della Sicilia.
Come potè compiere Re Ferdinando, il
grave errore di firmare quella legge, ben sapendo che avrebbe provocato quei
danni?Probabilmente la convinzione di aver perso per sempre la parte
continentale del Regno, a vantaggio dei francesi, lo stato di subalternità nei
confronti dei principi siciliani e delle truppe inglesi, che ben presto
trasformarono la sua permenenza a Palermo in una prigione dorata.
A perorare questa tesi fu l'affronto dell'esiliazione, voluta dagli inglesi,
della regina Maria Carolina.
(Spesso si legge che i Borbone
istituendo il Regno delle Due Sicilie con una fusione di quello Napolitano e
quello Siciliano, avevano tradito i Siciliani e dunque che il loro trono fosse
decaduto, ma alla luce di questi fatti e della Costituzione del Regno delle Due
Sicilie nel 1816 - avvenuta peraltro con un accordo ufficiale tra le Potenze al
Congresso di Vienna, che lo riconobbero - si capisce come mai il Parlamento
Siciliano fu abolito ed abrogata la Legge Costituzionale del 1812.)
La vicenda della "feudalità" tuttavia non si concluse mai, dopo il 1838 seguirono nuovi decreti e
decreti interpretativi, perchè il potere delle baronìe era troppo forte
ma tanto bastò a portare in Sicilia i moti del '48 (con l'appoggio di Francia
ed Inghilterra) e creare un regno indipendente svincolato dai
Borbone.
Stesso registro del 1860, ma con attori
diversi vedi Garibaldi ed i Savoja.
Ma l'annosa questione del baronaggio ha
radici lontane, essa infatti ha inizio quando Federico III d'Aragona, concesse
alle baronie siciliane diritti su diritti per convincerle a sostenere la sua
guerra contro gli Angioini, per la riconquista di Napoli.
Nelle Leggi costituzionali Fredericiane "Si Aliquem et Volontes", fu istituita per i baroni la "commerciabilità dei feudi"(2) che consentiva loro di venderli, acquistarli o
cederli, insomma una forma di proto-privatizzazione: "Questa disposizione, a causa anche della
cattiva interpretazione che ne venne data, creò una vera e propria anarchia
baronale favorendo l'illegalità" (Terre, casali e feudi nel comprensorio barcellonese, 2009) .
Infatti il vero fine delle ricche
concessioni elargite era l'ottenimento dell'appoggio militare ed economico dei
baroni per l'aggressiva politica estera di Federico, il quale era ansioso di
recuperare il maltolto (Napoli) in mano agli Angiò, forte delle rivolte
anti-angioine che si erano verificate nelle province del Sud continentale come
Reggio Calabria ed in Puglia e che portarono, in una determinata fase, le
armate Aragonesi a prendersi la Calabria, la Basilicata e a dare persino
battaglia agli angioini nelle acque del golfo di Napoli.
(1) Allodio=bene posseduto in piena
proprietà
(2) Ad apportarne le prime limitazioni fu proprio
Ferdinando di Borbone con la Prammatica del 1788.
Davide Cristaldi
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