Caro Giovanni, ricevere
un regalo fa sempre piacere, specie se proviene da un amico come te, che per
stile e impostazione culturale è al di là del banale ormai imperante. Come sai,
non mi riconosco nel risorgimento e,
di conseguenza, non partecipo a costosissime commemorazioni e feste. Non ho
niente di cui rallegrarmi perché, in quella disgraziata conquista del Sud, i
morti sono stati tanti. Mi si potrà dire che ogni rivolgimento storico comporta
sangue e lotta; ma il punto è un altro, ed investe l’approccio piemontese,
l’impostazione di fondo: gli antropologicamente diversi (Miglio non ha
inventato niente) non meritano pietà, gli stupri di massa sono una necessità,
oltre che un sollazzo per i bersaglieri, le rapine e gli incendi un mezzo per
arrivare alla soluzione finale. 800mila morti, 54 paesi rasi al suolo, un’
economia distrutta per sempre. Sì, il Regno delle Due Sicilie aveva un’economia
solida, tanto da meritarsi, all’Esposizione internazionale di Parigi, nel 1856,
il premio come terzo paese al mondo per lo sviluppo industriale (primo in
Italia). Mi limito ad aggiungere che uno storico come Mieli riconosce
apertamente questo ed altri similari dati macro-economici, come l’esistenza dei
campi di concentramento. E siamo ad un altro punto, cioè la deportazione dei
soldati che non vollero abiurare il giuramento di fedeltà a Francesco II di
Borbone. Avrai senz’altro sentito parlare di Fenestrelle, uno dei tanti
lager dove furono ammassati questi
sventurati, morti per fame, stenti, per il freddo. Io mi chiedo: come mai le
repressioni da parte dei Borbone sono sempre feroci, mentre quelle dei
“liberatori” sono solo, quando pure emergono, incidenti di percorso? Come al
solito, esistono morti di serie A e morti serie B? Dopo l’annessione, il Regno
d’Italia era alla ricerca, a livello internazionale, di un’isola verso cui
avviare oppositori e legittimisti: vedi un po’ quanto cavolo è costata, in
termini umani, l’unità, quella attuata, voglio essere chiaro, con quei mezzi e
con quelle finalità. Mi fermo qui, forse. Un abbraccio.
Giacinto
Zappacosta
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