lunedì 9 giugno 2014

MANGIARE CULTURA



Premetto che mi riconosco nella dottrina di Platone e di Aristotile, ma è lecito, come diceva Seneca, cogliere di tanto in tanto qualche fiore nel campo altrui. Ludwig Feuerbach, dunque, filosofo della sinistra hegeliana, ateo, in coerenza con la sua impostazione materialistica, sintetizza la sua visione del mondo: “l’uomo è ciò che mangia”. Il tedesco, sua lingua madre, lo aiuta, in un gioco di parole intraducibile in italiano, nel proferire la frase (mann ist, was er isst). C’è del vero, e vorrei spiegarmi. Prendiamo la tradizione culinaria italiana: brodetto di pesce (alla vastese), orecchiette con le cime di rape, riso con patate e cozze, porchetta, cassata, ragù alla napoletana, ragù alla bolognese, scapece, pasta e fagioli, spaghetti e pasta conditi nei modi più svariati. Mi fermo qui. Prendiamo ora in considerazione le abitudini alimentari degli anglo-sassoni: hamburger con presenza allucinante di cipolle, coca cola in abbondanza, colazione a base di uova strapazzate. Ve lo immaginate vivere così? E i Cinesi? Basti dire che non costumano il pane, l’alimento per eccellenza. Ora, a ben vedere, il cibo è espressione, una delle tante, del carattere e del modo di essere di un popolo. È una questione culturale. Ci siamo chiesti come mai gli stranieri impazziscano per la cucina italiana? Da noi prevale il buon gusto (è proprio il caso di dire), non saprei dire se di origine magno-greca o latina, ma comunque è un quid che viene da lontano, da molto lontano, se pensiamo che, ad esempio, i Romani, da sempre ghiotti di carne di maiale, ci hanno tramandato la porchetta. Ecco perché noi Italiani, quando andiamo all’estero, soffriamo. La differenza è troppo marcata.
 
Giacinto Zappacosta

 

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