È “il fango delle
corti” di cui parla Massimiliano Francesco Maria Isidoro Robespierre, il bevitore
di sangue tanto amato da chi non lo ha mai studiato. In gioventù, quando ero
una testa calda, comunque meno di quanto sia adesso, dopo averne letto i
discorsi, ho apprezzato, e forse apprezzo tuttora, quell’ira fanatica (solo
quella, per carità) ma giusta, del rivoluzionario francese, giovane avvocato di
provincia, avverso quel maledetto vizio, la corruttela, che ammorba la vita politica
di ogni latitudine e di ogni tempo. Come ai giorni nostri, è chiaro. La gioiosa
macchina da guerra è in verità attrezzata per fare soldi, per assumere
posizioni di auto-referenzialità, per accedere alla politica non come servizio,
ma come realizzazione personale valutabile da un punto di vista meramente
economico. Qualcuno, preso con le mani nella marmellata, si è lamentato, con
ipocrita querimonia, domandandosi se la moglie del sindaco sia condannata a
fare la casalinga. Risposta, che ho già dato e che ribadisco: se la partecipazione
al concorso cinematografico, sotto qualsiasi profilo e a qualsivoglia titolo, è
disdicevole e inappropriata, la moglie del sindaco deve fare la casalinga.
Perché il primo cittadino deve non solo essere onesto, ma anche apparirlo. A
ben pensarci, però, il punto è un altro e chiama in causa quello iato
antropologico, quel confine netto, quella voragine, quel vallo che separa il
sentire della gente comune da quello dei politici, i quali ormai non hanno più
contezza dei problemi che pure sono chiamati ad affrontare e, se possibile, a
risolvere. Tanto più che il sindaco, fresco di nuova nomina, pagata, utile salvacondotto per l’avvenire, ha tirato i remi in barca e non si fa più vedere tanto
spesso. Nemmeno al bar.
Giacinto Zappacosta
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