Normalmente (e Dio solo sa perché) l’arretratezza
economica e sociale del Sud Italia viene riferita ad un dato atavico, precipitato
storico di un regno oppresso da una monarchia, quella borbonica, spazzata via
dai “fratelli liberatori”. Troppo semplice, o semplicistico, troppo scontato.
Soprattutto, troppo propagandistico. La verità è che i problemi del Sud
seguono, non precedono l’unificazione. Rimane da capire come mai, a distanza di
150 anni, i ragazzi debbano studiare a scuola una narrazione del risorgimento
secondo i canoni della storiografia ufficiale. Il discorso ci porterebbe molto
lontano, a concludere, amaramente, che sono i vincitori a raccontare i fatti, a
loro modo: cerchiamo, piuttosto, di approdare a qualche punto fermo.
- Il Regno delle Due Sicilie
aveva un’economia solida, tanto da meritarsi, all’Esposizione
internazionale di Parigi, nel 1856, cioè a pochi anni dalla fine, il
premio come terzo paese al mondo per lo sviluppo industriale (primo fra
gli Stati pre-unitari). Le riserve auree, seconde soltanto a quelle russe,
nonché lo sviluppo della marineria, terza al mondo, testimoniano di un
dato macro-economico significativo. Per non parlare poi del fatto che il
Regno, soprattutto la Sicilia e la Campania, attirava manodopera
qualificata (il marchio della celebre pasta Voiello è l’italianizzazione
di Von Vittel, bernese che si trasferì in quel di Napoli).
- I primati del Regno, di
cui nessuno parla, possono solo essere accennati. Si va dalla
obbligatorietà delle motivazioni nelle sentenze penali, introdotta in
anticipo rispetto agli Stati nei quali si articolava la Penisola, al primo
ponte sospeso in ferro (sul Garigliano), all’albergo dei poveri in Napoli,
voluto da Ferdinando II di Borbone, alla prima tratta ferroviaria che collegava
la capitale a Portici, al Codice della Navigazione. E tanto basti.
- In generale, il
risorgimento, lungi da essere uno spontaneo movimento di popolo, ci
appare, al di là delle brume storiografiche, un fenomeno etero-governato a
direzione elitaria (leggasi: massoneria internazionale). Emblematica, in
tal senso, la figura di un protetto di Cavour, tale Filippo Curletti,
funzionario della polizia piemontese, abilissimo nell’organizzare,
arruolando delinquenti comuni ed evasi, “spontanee” sollevazioni ad
Ancona, Fano, Senigallia, Perugia, per poi aprire il cordone della borsa
quando si trattò di comprare il tradimento degli ufficiali borbonici.
- Veniamo ai morti e ai soprusi. Stupri di
massa, rapine, incendi, 800mila morti, 54 paesi rasi al suolo, un’economia
distrutta per sempre, lo stato d’assedio esteso a tutto il territorio
dell’ormai ex regno (legge Pica). Questi i regali recati dai “fratelli
italiani”. E poi la deportazione dei soldati che non vollero abiurare il
giuramento di fedeltà a Francesco II di Borbone. Quello di Fenestrelle è
uno dei tanti lager dove furono ammassati questi sventurati, morti per
fame, stenti, per il freddo. Come al solito, esistono morti di serie A e
morti serie B. Si consideri che dopo l’annessione, il Regno d’Italia era
alla ricerca, a livello internazionale, di un’isola verso cui avviare al
confino oppositori e legittimisti.
Non possiamo accusare il popolo italiano di non aver avvertito la sacralità del 150° anniversario: non si sfugge alla nemesi della
storia, oppure, se si preferisce, possiamo dire che l’albero nato storto tale
rimane. L’unità e l’appartenenza ad una comunità nazionale, strutturate attorno
ad un sano federalismo, che sappia armonizzare le differenze territoriali, vera
ricchezza dell’Italia, vanno rifondate su altre basi.
Giacinto Zappacosta
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