Per un pacifico e amicale rapporto tra istituzioni e cronisti
È la nuova categoria
socio-culturale, o forse solo un vano, e vacuo, espediente propagandistico, un
debole mezzo per tentare di allontanare da sé critiche e accuse. La “stampa
disonesta”, a questo punto, ossessivamente indicata da Lapenna come causa di
tutti i mali, va avanti per la sua strada, passo fermo e testa alta. Intanto,
una breve annotazione: quando Berlusconi grida al complotto mass-mediatico, a
sinistra si invoca la resistenza contro il tiranno pronto ad usare la
museruola, mentre il sindaco nostro, che è appunto di sinistra, non si rende
conto di imitare, per mimesi e per metessi, il più noto cittadino di Arcore.
Quando cominciai a scrivere su un giornale, tanto tempo fa, il mio
capo-redattore, una donna, mi disse: “Guarda che a Vasto i politici non sono
abituati al rapporto con la stampa”. Passato un terzo di secolo, la situazione
non si è evoluta. I nostri rappresentanti, fatte le dovute eccezioni,
prediligono un rapporto amicale col cronista, che vorrebbero ben volentieri
degradare a mero reggi-microfono, uno che non fa troppe domande, soprattutto
quelle scomode, quelle impertinenti, uno che non va a spulciare le carte.
Lapenna ha qualche
problema con quotidiani, siti e blog: non sopporta, si infastidisce, non si
riconosce in una situazione nella quale ognuno, nei limiti stabiliti dal codice
penale, scrive quello che vuole. Ma la “stampa disonesta” non è solo questo,
non è un rozzo sfogo contro il potente di turno; è anche studio, passione,
capacità, impegno, articoli che hanno una loro valenza. Chi non se la sente di
stare dentro queste regole può anche farsi da parte.
Giacinto Zappacosta
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