La lingua italiana non può, non deve piegarsi ai capricci di una donna che non appare all'altezza. Sul più alto scanno di Montecitorio, la signora annaspa e tergiversa, lo sguardo sempre fisso sul povero segretario generale, che si vede costretto a svolgere, a pro di una impacciata Boldrini, la costante funzione, che non gli è propria, di consulente.
Il presidente vacilla, vacilla spesso, ma tira avanti, tanto siamo nell'epoca in cui si improvvisa. Vanno avanti i meno che mediocri, quelli che non sanno, non vogliono studiare. Ricordo i presidenti delle due camere, quelli di qualche decennio fa, con la loro padronanza del regolamento, con la loro capacità e con la loro autorevolezza.
Eppure la signora pretende, ha i suoi vezzi. Vuole essere chiamata al femminile, altrimenti ti riprende, altrimenti le stona se si sente appellare "signor presidente", come è giusto che sia, dato che (Treccani) trattasi di sostantivo di genere maschile. Pensa un po'. Con tutti i guai in cui vivono gli Italiani, il presidente della camera trova il tempo, sbagliando in fatto di grammatica, di concepire amenità.
E trova il tempo, pure, per fare la sua bella passerella in mezzo ai terremotati. Sul punto mi astengo dal proseguire.
Giacinto Zappacosta
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