Era tanto tempo fa. Accadde che Dionisio si incavolò molto con Platone. Il tiranno di Siracusa, così nel racconto di Diogene Laerzio, se la prese a morte quando si sentì dire dal filosofo ateniese che il potere non doveva essere disgiunto dalla virtù. Apriti cielo. Per il povero Platone fu l’inizio di una lunga disavventura, che culminò, in un crescendo di disgrazie, nell’onta della schiavitù, dalla quale fu poi riscattato da un amico filosofo. Ma il punto non è tanto questo, quanto il fatto che Dionisio fosse, appunto, tiranno. Autocrate, si direbbe con termine a noi più vicino e di più immediata comprensione, uno, insomma, che basava la propria posizione personale, il proprio potere (cratos) su sé stesso (autòs) e non per derivazione dalla volontà popolare, ma nemmeno da altra istanza, quale, per esempio, la disposizione di un sovrano. Una testa, un voto: così è adesso e così dovrebbe funzionare. Con qualche piccola eccezione. Senza volere paragonare Dionisio, che comunque aveva due palle così, alle nostre miserie attuali, che fanno da sfondo alle ore presenti, qualche similitudine sta prendendo corpo. Ci hanno spiegato che si contano le capocce, e chi ne mette insieme di più vince, mentre chi ne ha di meno perde. Lo sbocco autocratico contemporaneo prevede, invece, l'apprezzamento dei poteri forti: la Bce, l'Europa, il sionismo. Il voto popolare, in fin dei conti, vale relativamente. È l’autarchia moderna, o post-moderna, non saprei, ma sempre efficace.
G.Z.
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